Locke e la società inglese tra Seicento e Settecento: PEDA.

 Locke e la società inglese tra Seicento e Settecento







Vita e opere:

Locke ha il merito di avere anticipato l'immagine dell'infanzia .

John Locke (1632-1704), uno dei massimi filosofi inglesi. Orfano di madre, egli fu allevato dal padre--> un severo puritano che combatté con l'esercito di Cromwell.

Locke studiò a Oxford, dove insegnò in seguito greco e retorica. Seguì anche corsi di medicina e scienze naturali, ma senza completare gli studi. Passato al servizio del terzo conte di Shaftesbury, cancelliere del regno, divenne suo segretario e precettore dei figli.








Dopo un periodo trascorso in Francia, dove approfondì la conoscenza di Cartesio, Locke tornò in Inghilterra e riprese a collaborare con Shaftesbury. Locke divenne il sostenitore di Guglielmo III d'Orange. Con la Gloriosa Rivoluzione del 1688, che istituì la monarchia costituzionale, Locke poté rientrare in patria al seguito di Guglielmo e di Maria Stuart. Si dedicò quindi alla stesura delle sue opere più importanti, circondato dalla stima generale.


Filosofo, cultore di medicina, consigliere politico, uomo d'affari, Locke fu personalità dai tratti eclettici, che lasciò un segno profondo nella storia delle idee. Considerato uno degli iniziatori del pensiero dei Lumi (di qui il motivo per cui è stato inserito nel capitolo relativo all'Illuminismo) e teorico della filosofia politica liberale, svolse in più circostanze anche l'incarico di precettore, cui si dedicò con passione.








Il filosofo inglese condusse una serrata analisi del modo in cui le idee, nate dai sensi, si associano tra loro dando vita alla conoscenza, tema affrontato soprattutto nel Saggio sull'intelletto umano del 1690.


«Le sensazioni esterne o interne sono i soli passaggi che io riesca a trovare del Sapere verso l'Intelletto. Queste sole sono le finestre attraverso le quali la luce riesce a filtrare in questa stanza oscura. Perché, io credo, l'Intelletto umano non è molto diverso da una Stanza interamente priva di luce, nella quale solo alcune piccole fessure fanno entrare all'interno le Somiglianze visibili, o Idee delle cose, che provengono dall'esterno; se le Immagini che entrano in questa Stanza scura si fermassero li, e si ordinassero in maniera tale da essere ritrovate all'occasione, essa assomiglierebbe molto all'Intelletto dell'uomo, in riferimento agli Oggetti della vista e alle Idee di essi» (libro II, cap. 11).



Se non esistono idee innate, i bambini nascono privi di qualunque conoscenza. Ecco perché Locke recuperò la "pedagogia dell'abitudine'": è importante avviare presto i bambini alle giuste esperienze, per far sì che le facciano proprie.


La volontà dell'uomo in sé non è né buona né cattiva.



La filosofia e la pedagogia di Locke esulano dal discorso teologico. Se con la ragione non si può ami-

vare a Dio, la morale non si basa più su una finalità religiosa. Il bene morale diviene l'utile, ciò che è giusto per il singolo e necessario per la collettività.

Liberale in politica, Locke sostenne la libertà di pensiero e il valore primario della coscienza dell'individuo.


Il fine dell'educazione non è più individuato nel raggiungimento della perfezione cristiana e nel conseguimento della vita eterna, bensì nella felicità mondana ragionevolmente costruita. Il filosofo,

tuttavia, non negava il valore della fede religiosa, anzi si professava cristiano e diede alle stampe lo scritto Saggio sulla ragionevolezza del cristianesimo (1695),







Egli distingueva tuttavia tra fede e ragione, concependo la vita associata secondo ragione e dunque in forma laica e spostando la dimensione della fede nella sfera della scelta personale: si trattava di un passaggio importante, in controtendenza rispetto agli orientamenti prevalenti.



 

Nel 1693 Locke pubblicò una raccolta di "pensieri sull'educazione" delle riflessioni frutto in gran parte delle sue esperienze di precettore, un'opera presto tradotta e diffusa in Europa e in America che per circa un secolo rappresentò un ineludibile punto di riferimento.


Il testo è denso di critiche al sistema educativo del tempo: Locke lamentava l'inutilità dell'apprendimento del latino e del greco :


«formalmente appresi, senza che siano però compresi i valori che queste lingue esprimono e che resero così eccezionali gli uomini da cui furono parlate». Perciò «una gran parte di quanto attualmente è considerato essenziale nelle scuole europee per la formazione del gentiluomo, può essere trascurata senza grave danno per la sua futura attività».










Contestava, inoltre, l'efficacia dei metodi grammaticali nell'insegnamento delle lingue , l'estraneità dei contenuti scolastici rispetto alla realtà delle cose , la scarsa qualità dei docenti, che per farsi "rispettare" non esitavano a ricorrere all'uso della frusta.


Egli auspicava invece l'ampliamento dell'insegnamento della lingua nazionale e del francese, la lingua a più ampia circolazione internazionale del tempo; solo in seguito, quando l'alunno sarebbe stato più grande, si poteva introdurre il latino, in forma tuttavia di lingua parlata e non come arido accumulo di nozioni e regole grammaticali. Sollecitava poi la buona conoscenza della geografia e delle discipline matematiche e fisiche; si dichiarava favorevole a una salda formazione etica fondata sui classici dell'antichità come Cicerone; infine caldeggiava attività pratiche come il giardinaggio e il lavoro nei boschi da affiancare a quelle più consuete per i ceti benestanti come la scherma, la danza e l'equitazione.









Sulla base della sua visione filosofica, Locke insisteva sull'importanza della formazione di salde abitudini sin dai primi anni di vita e dedicava ampio spazio alla costruzione delle idee complesse e del linguaggio, anch'esso appreso per esperienza sin dalla nascita.



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